Mauro Galligani - Alla luce dei fatti
08 aprile - 04 giugno 2017

Missione fotogiornalista
di Claudio Pastrone

La mostra dedicata a Mauro Galligani rafforza l’idea che la fotografia, come testimonianza dell’attualità, riveste un ruolo fondamentale nel settore dell’informazione, ma anche della formazione della cosiddetta opinione pubblica. Tutti abbiamo in mente immagini, divenute vere e proprie icone, che hanno contribuito a modificare il corso della storia. Ricordiamo una fotografia che scosse le coscienze sulla guerra del Vietnam. Vincitrice del premio Pulitzer e scattata da Nick Ut dell’Associated Press nel 1972, ritrae un gruppo di bambini che corrono in lacrime, tra cui Kim Phùc, una bimba di nove anni, che scappa nuda da un attacco al napalm a Trang Bang, un paesino del Vietnam del sud. Questo esempio non è casuale.

In questa mostra compare in tutta la sua drammaticità uno scatto tratto da un servizio di Galligani che ci ripropone, in condizione del tutto diverse, il dramma dei bambini che subiscono ingiustizie, frutto della scelleratezza degli adulti: il primo piano di Stefania Senno in lacrime, con il volto sfigurato dalla nube di diossina sprigionatasi dallo stabilimento ICMESA di Seveso nel 1976. Con immagini come queste non occorrono troppe parole per capire la capacità della fotografia di evidenziare e mantenere nel tempo la propria forza comunicativa e emotiva. Ciò che a volte ci dimentichiamo, o a cui non diamo la giusta importanza, è che dietro a queste immagini ci sono uomini che le hanno realizzate, che hanno saputo cogliere l’attimo significativo componendolo nel modo migliore grazie alle loro sensibilità, alla loro capacità e al loro impegno professionale.

Tra i fotografi italiani che si sono dedicati a questa professione Mauro Galligani è tra i più importanti. Ha realizzato in oltre quarant’anni di attività centinaia e centinaia di servizi, la maggior parte per il settimanale Epoca, inviato in ogni parte del mondo là dove occorreva evidenziare i fatti con l’immediatezza e la potenza della fotografia. Galligani ci confessa che non ha mai fotografato per inseguire premi, anche se, per la sua bravura, nel 1980 lo vediamo, primo tra i fotogiornalisti, ricevere dal Presidente Sandro Pertini il prestigioso Premio Saint Vincent per il giornalismo.

Ci dice che non ha mai frequentato bar milanesi, mitizzati nel tempo, perché frequentati da artisti, scrittori e fotografi più o meno famosi. Afferma che non ha mai inseguito la notorietà attraverso le mostre, e che per questo le sue fotografie, nate per essere pubblicate sui giornali, non sono conservate nei musei più importanti del mondo. E anche per questi motivi le sue immagini ci colpiscono, ci appaiono dirette e ci lascia stupefatti la sua capacità di inserire nel rettangolo del mirino tutto quello che serve a formare la notizia, niente di più, niente di meno. Enrico Deaglio, giornalista e scrittore, inviato di Epoca alla fine degli anni ottanta scrive: ”Ho apprezzato, vedendo lavorare Galligani, cose che non sapevo. Che dietro una fotografia ci sono la pazienza di tornare anche dieci volte sullo stesso posto, la fiducia di chi viene fotografato e l’eleganza dei gesti del fotografo. Ho visto fotografi che consumano decine di rullini, che scattano nel mucchio, arrancando, come dei cacciatori della domenica. Galligani appartiene all’altra categoria. L’ho visto stare fermo ad aspettare un avvenimento, sapendo che doveva succedere. Molte volte non succedeva, ma quando succedeva, quella era una foto”. La cosa che più ci colpisce di Galligani è l’attenzione che pone a ciò che gli sta attorno e la sua sensibilità nel capire le persone che gli stanno di fronte.

Questo deriva dalla sua grande esperienza, che gli permette, sia che fotografi un evento sportivo, sia che affronti un tema sociale o di costume, sia che si insinui con la sua macchina fotografica tra i combattenti in una zona di guerra, non solo di portare a casa il servizio, ma in qualche modo anche la pelle. Lo si vede dalle sue fotografie: il rischio ha fatto spesso parte del suo mestiere. E proprio questo “mestiere” gli ha consentito di cavarsela in situazioni disperate, come quando fu rapito e restò prigioniero per due mesi di una banda di indipendentisti ceceni nel 1997. Mauro non ama parlare di questo episodio.

Anche questo fa parte del suo mestiere, della sua missione di fotogiornalista.