Questioni di Famiglie
17 giugno - 03 settembre 2017
La famiglia senza posa
a cura di Michele Smargiassi
La fotografia familiare non è la fotografia della famiglia. Due sguardi differenti raccontano la famiglia italiana attraverso la fotografia.
Il secondo è uno sguardo pubblico, quello dei fotografi professionali, dei fotogiornalisti, dei fotografi artisti, dei fotoamatori, si posa sulla famiglia come istituzione, come clientela, come spunto poetico. Sono le foto di propaganda del regime o del consumismo, sono le foto degli album matrimoniali commissionati, sono i “motivi” lirici da concorso fotografico. Il loro posto è la pagina del giornale o del rotocalco, l’album professionale, comprato bello che fatto, o la parete della mostra.
Il primo è uno sguardo privato, autoriflessivo, tecnicamente assistito dalle fotocamere economiche e automatizzate, la prima ondata con le Kodak di inizi Novecento, la seconda con le Instamatic degli anni Cinquanta. Sono le foto delle vacanze, delle cresime, delle comunioni, delle occasioni felici. Il loro posto è l’album fatto in casa, più spesso la scatola da scarpe, più di recente gli orrendi quadernini a tasche di pvc.
Non sono categorie impermeabili. Lo sguardo pubblico s’intrufola nel privato e ne fa un oggetto sociale. Lo sguardo privato è in qualche modo pubblico, perché sociali sono le sue convenzioni estetiche. L’album di famiglia è la grande macchina concettuale che produce relazioni e legami attraverso la consapevole produzione di monumenti fotografici. L’immagine della famiglia negli album privati è costruita in modo propagandistico: nasconde i lati sgradevoli, vanta i momenti felici.
 
Ma c’è un terzo genere di fotografia che coinvolge la famiglia. Uno sguardo selvaggio, involontario, mai codificato, che sfugge sia al controllo dell’osservatore esterno che all’autocontrollo del nucleo familiare.
Non sono proprio fotografie, piuttosto dettagli di fotografie, sotto-fotografie involontarie, fotografie da scoprire e ritagliare negli angoli non controllati di fotografie prodotte per altri scopi. Nelle cartoline turistiche, ad esempio: quelle di spiagge affollate, di monumenti e vedute piene di gente inglobano inevitabilmente microscene familiari colte involontariamente da un fotografo per il quale quelle figurine sono solo un “effetto di animazione”. Un elemento retorico della veduta pittoresca.
In queste sub-fotografie, le famiglie non sono in posa, né per altri né per loro stesse. Ignare di essere riprese, non recitano consapevolmente alcuna finzione fotografica. Quel che vediamo è dunque, eccezionalmente, una fotografia senza la perturbazione della fotografia: la cattura visuale della pura e semplice recita sociale della famiglia italiana in uno spazio pubblico. I suoi abiti, i suoi gesti, la “formazione” delle sue relazioni nello spazio.
 
Nel 1970, per un suo libro forse non dei più noti, Modena entro le mura, Franco Vaccari ebbe l’idea di estrarre questi ritratti non premeditati dai margini delle fotografie ottocentesche dello studio Orlandini, ricavandone “un reportage all’interno delle fotografie”. Quasi cinquant’anni dopo, riconoscendo il debito, abbiamo fatto qualcosa di simile con un piccolo nucleo di cartoline illustrate degli anni Cinquanta e Sessanta. Frugando, ritagliando, escono fotografie a loro modo compiute, perfino ben composte, ma non previste, neppure dal fotografo che le scattò.
Ritagliandole e “creandole” pensiamo di essere riusciti a scovare e a scavare, quasi archeologicamente, un’iconografia preterintenzionale della famiglia che deve il suo stile a un doppio inconscio: quello sociale della famiglia, quello tecnologico della fotocamera.
 
Si ringrazia per la cortesia la direzione e il personale dello Csac di Parma, che ha gentilmente consentito l’accesso alle sue collezioni di cartoline illustrate, ein particolare Lucia Miodini per l’assistenza e i preziosi  consigli.