Funerale Turchese
di Alessandra Baldoni
“Se è amara non la voglio!” così urla Pinocchio alla Fata, cercando di fuggire e non prendere la medicina necessaria per guarire, dopo che gli assassini, il gatto e la volpe incappucciati, lo hanno letteralmente impiccato con un nodo stretto alla gola. Il lavoro di Vera Lucia Covolan è un incantesimo, un rituale che scaccia il male guardandolo senza abbassare mai lo sguardo, lo nomina, ma lo porta altrove, lo sorpassa con l’audacia dei simboli e degli emblemi. Una malattia, un tumore alla gola, un sasso come lo chiama lei, che improvviso scombina e rovescia ogni piano. La cura da affrontare amara, troppo amara, come la medicina di Pinocchio. Allora Vera mette in atto un cerimoniale: si racconta, si guarda, scombina le cose. Come il personaggio di Collodi è indisciplinata, disubbidiente, come lui cambia forma e mescola le forme, come lui non resiste alla curiosità nonostante tutto. C’è una foto del suo volto “scavato” con dentro un altro suo ritratto e mi viene da pensare al celebre racconto di Jorge Luis Borges che incontra sé stesso, ma in un altro tempo. All’altezza dello sguardo una pennellata turchese ci toglie i suoi occhi. È una ibridazione, una metamorfosi ancora in atto. Non basta la fotografia, non può bastare per Vera Lucia Covolan: la sconfina, la mescola, fa cadere tutti gli argini e abbassa le paratie. Che tutto si allaghi. Che tutto debordi. Il suo volto ricorre, velato, colorato, con un sasso vero appoggiato alla gola. Non ha perso la voce, il nodo è stretto, ma non così tanto da toglierle la parola. Perfino sorride, scanzonata, mentre si tinge i capelli di turchese. In questa storia è Pinocchio e Fata insieme. Il turchese - da cui il turchino della celebre fata - è il colore dell’inconscio e della fantasia, la pietra ha proprietà antidolorifiche e ricostituenti. Penso al realismo magico sudamericano e alla terra da cui la nostra autrice proviene, a questa capacità di vedere oltre la mera e spesso tragica fattualità delle cose. Un colore non è solo un colore, ma lo spioncino cui appoggiare l’occhio e guardare oltre. La realtà non è tutta qui, non finisce qui. Vera taglia i capelli - sa che cadranno con la chemioterapia - e porta il cerimoniale oltre. Li fa blu/turchese, li mette in evidenza, non nasconde niente. Tutto ciò è un’ostensione. Le forbici aperte e pronte accanto a lei di spalle, con un abito bianco che la fa quasi sembrare una sposa. Ma non so leggere in queste immagini l’idea del sacrificio. So e sento il dolore, ma scorre sottotraccia, è carsico, mi arriva potente l’atto magico. Così si sfugge agli assassini, nel suo caso la malattia, si dà loro filo da torcere. Con questa idea che la fotografia (e tutto quello che Vera ci mette sopra intorno e dentro) sia un medicamento, sia un atto di rivolta alla muta accettazione di ciò che ci accade. E mentre guardo l’ultima immagine, un dittico, dove i capelli turchini sono in una piccola scatola e accanto c’è il foulard che ha portato, non posso non accorgermi che sono reliquie quelle che guardo, la memoria corporale di un martirio personale, ma attraversato da un “azzurro intenso”. Vera ci sorride e sono certa che non si volti indietro, che l’incantesimo sia riuscito per intero, il funerale fatto al suono di musica allegra, e che stia già pensando a nuove storie e nuove segretissime formule magiche.
Biografia
Nasce nel 1961 in Brasile, vive e lavora a Pisa dal 1996. Laureata in Chimica Industriale (San Paolo, Brasile) e PhD in Scienza dei Materiali Polimerici (UNIPI, Pisa, Italia / UNICAMP, Campinas, SP, Brasile), è ricercatrice specializzata in sintesi di polimeri per applicazioni biomediche. Ha lavorato (1996-2015) presso l’Università di Pisa al Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale e, autonomamente, come consulente chimico per industrie chimico-farmaceutiche. Viene attratta dalla fotografia nel 1996, in coincidenza con l’inizio del suo dottorato di ricerca, in Italia. Faceva fotografia di viaggi con una predilezione per raccontare storie e condividere le culture apprese. A partire dal 2009, dopo un viaggio in Amazzonia, in Brasile, sono emerse delle opportunità e, da allora, ha realizzato esposizioni fotografiche, sia individuali che collettive; ha realizzato delle presentazioni per circoli di fotografia; ha partecipato a festival e forum sulla fotografia; ha realizzato delle pubblicazioni e si mantiene attualizzata tramite corsi dedicati alla fotografia e all’arte. Attualmente, è interessata alla fotografia documentale, artistica e sperimentale; alla stampa fine art e a quella ottenuta tramite le tecniche chimiche antiche. Ha vinto, di recente, un premio nell’ambito di Portfolio Italia (Portfolio dell’Ariosto 2022). È socia FIAF e fa parte del Circolo Fotografico Pisano e del Collettivo Radici.