La battaglia di Mosul
Il 17 ottobre 2016 le truppe irachene, sostenute da una coalizione guidata dagli Stati Uniti, hanno lanciato un’offensiva per riconquistare la città di Mosul, dal giugno del 2014 roccaforte del gruppo Stato Islamico in Iraq. Sin dal suo inizio ho seguito l’operazione, una battaglia durata otto mesi che, nel momento in cui scrivo, non è ancora del tutto finita nonostante la dichiarazione del primo ministro iracheno Haider al-Abadi, secondo cui la riconquista della Moschea al-Nouri segna la fine dello Stato Islamico. Strada per strada, casa per casa, le forze governative irachene stanno ora avanzando faticosamente in quell’ultimo chilometro quadrato della Città Vecchia di Mosul. Con i tempi che si allungano a soffrirne di più sono soprattutto i civili, intrappolati nei quartieri ancora sotto il controllo dei miliziani dell’Isis. Con temperature che superano i 40 gradi, chi riesce a fuggire denuncia la scarsa disponibilità di cibo e acqua e l’aumento di esecuzioni sommarie da parte dell’Isis per scoraggiare la fuga, oltre all’uso di armi chimiche, soprattutto cloro. Allo stesso tempo, i civili sono vittime anche della brutalità dei loro stessi liberatori: secondo Human Rights Watch, soprattutto in questa fase finale della liberazione della città, le forze irachene avrebbero torturato e giustiziato decine di uomini e ragazzi, sospettati di appartenere all’ISIS.


