Portfolio Italia 2025
30/11/2025 - 06/01/2026
Andrea Bettancini
Il rumore di fondo

 L’India viene spesso narrata attraverso la retorica del caos sensoriale, visivo e sonoro: il rumore, i colori, la densità umana, la sovrabbondanza di stimoli. Il portfolio di Andrea Bettancini ha la capacità di sottrarla a tale stereotipo per restituirla a una dimensione laterale, intima, quasi sospesa. Non si tratta di negare la realtà di quel clamore, ma di esplorarne il rovescio: il silenzio che vi abita, le pause e gli interstizi che si manifestano nelle pieghe del quotidiano. Ascoltare il silenzio dentro il frastuono significa decostruire un immaginario consolidato, cercare nuove modalità di sguardo individuale e interrogare il rapporto tra percezione e rappresentazione. Il silenzio diventa allora spazio di rivelazione, possibilità di cogliere un ordine nascosto nel flusso dissonante del reale.

Il progetto si struttura come una sequenza di frammenti visivi, una costellazione di volti, gesti, vedute, attese, vuoti. Questi elementi non aspirano a comporre un racconto lineare, ma piuttosto una tessitura complessa, un ritmo fatto di contrasti: armonia e scarto, vicinanza e distanza, pieno e vuoto, evidenza e mistero. In questo intreccio, il dettaglio si fa indizio e ogni singolo incontro entra in relazione con l’ordito generale del racconto. Ciascuna fotografia si configura come apparizione, segno di una presenza che si sottrae al flusso indistinto per assumere valore correlato e simbolico, attivando così un processo di trasfigurazione: il quotidiano viene fermato e condensato in un’aura che oscilla tra realtà e visione, tra memoria e sogno.

Il linguaggio scelto dall’autore privilegia la sospensione e la sottrazione rispetto all’enfasi descrittiva. In un bianco e nero ricco di sottili tonalità di grigio che richiama certa fotografia di viaggio ottocentesca, l’India che emerge è silenziosa, non perché priva di rumore, ma perché osservata nella sua vibrazione interiore, in quella “risonanza” che appartiene alla percezione di una complessità in cui presente e passato, sacro e profano, natura e cultura si mescolano in modo inscindibile e interdipendente.

Il progetto di Bettancini può essere definito come una forma di antropologia visiva poetica: non un’indagine etnografica volta alla documentazione, bensì un atto di ascolto visivo che cerca di restituire un’esperienza percettiva e affettiva, di cogliere il non detto, l’inapparente, la profondità di una realtà culturalmente complessa come quella indiana. In questa prospettiva, il fotografo assume la postura di un osservatore attento e discreto, capace di lasciar emergere l’invisibile.

La particolare qualità del progetto emerge proprio in questa capacità di ridefinire i parametri della rappresentazione: non più l’India come “spettacolo del caos”, ma come territorio di silenzi e apparizioni sottili, luogo in cui storia e spiritualità si manifestano nei margini, nelle pause, nella sospensione temporale, in una tensione tra reale e immaginario, tra presenza e assenza. Le trenta immagini della sequenza invitano a essere guardate oltre la superficie, a essere contemplate con lentezza, come presenze singolari e simboliche che suggeriscono la possibilità di leggerle ed ascoltarle oltre il silenzio. Così l’India raccontata da Andrea Bettancini diventa specchio di una condizione più universale: la possibilità di scoprire, in ogni luogo e in ogni vita, la vibrazione silenziosa che si cela dietro il rumore del mondo.

di Massimo Agus