Blue Whale
Alcune balenottere azzurre, durante il loro ciclo vitale, senza un motivo apparente si spiaggiano e muoiono. Forse, semplicemente, si smarriscono e tristemente si arrendono. Creature che non riescono più a ritrovare la maniera di riunirsi al gruppo e, isolate, si danno la morte.
Probabilmente è da questa metafora naturale che prende nome il fatale gioco online “Blue Whale Challenge”. Come balene perse, adolescenti disorientati vengono manipolati e guidati lungo un percorso strutturato in cinquanta tappe che, giorno dopo giorno, li conduce inesorabilmente all’annullamento. A metà percorso, il concorrente conoscerà il giorno esatto della propria morte, stabilito dal tutor del gioco che accompagna il candidato attraverso prove crescenti, pensate per dimostrare la fattibilità del suicidio.
Da un lato vi è una vita acerba alla ricerca della propria identità, del proprio equilibrio, che si assume la responsabilità di ogni singola caduta, incapace di trasformare il timore in azione, la paura in reazione. Fragile creatura che nell’isolamento e nel silenzio trova un illusorio spazio di quiete.
Dall’altro lato, anime perdute, auto-proclamatesi Parche spietate, che nella manipolazione di giovani vite cercano l’oltraggio dell’altrui controllo, vivendo nella furia cieca e nell’arroganza di chi spazza via un’esistenza per il piacere effimero del potere.
Ermes Signorile rende tutto questo palese attraverso un percorso fotografico in cui emergono gli stati d’animo di un’anima alla deriva, immersa in un quotidiano che forse mai è stato così alienante. Qui l’identità è negata, confusa dal caos del mondo esterno, dove sogni e ambizioni si mescolano nel mare burrascoso delle inquietudini, dei tentennamenti, degli eroismi, delle necessità e delle apprensioni.
Come seguendo una sceneggiatura paradossale, le immagini si rincorrono tessendo una ragnatela invisibile che, nella visione complessiva, rivela tutta la drammaticità della vicenda. Protagoniste sono le anime perse che si muovono negli spazi mentali generati dal gioco fatale. Ogni elemento, anche il più ordinario, assume significati altri, trasformando il percorso verso l’annullamento irreversibile in una presunta scelta consapevole, un’illusoria redenzione dal dolore.
Lo spazio narrativo è esclusivo: un silenzio assordante, dove il pensiero non può fermarsi neppure un istante, e la solitudine è l’unica compagna di viaggio. Due soli colori dominano la superficie fotografica: il bianco, come vuoto o sospensione, il rosso, come dolore, e il blu, come morte.
Ogni scatto colpisce, ogni visione mostra la distanza incolmabile tra ragione e mente, lasciando allo spettatore la responsabilità della testimonianza e il dovere di non distogliere lo sguardo. Come scrive lo stesso autore: da questa narrazione non ci sono metafore da cogliere. La balena blu muore.
di Massimo Mazzoli


