I can’t be the only one who hears you
Sin dal primo respiro, dal primo sussurro percepito, dalla prima flebile luce filtrata tra le palpebre, dal primo languore che ci ha turbato, dal primo contatto con l’altro, un flusso mai immobile di costruzione ed elaborazione del nostro Io è iniziato. Da quel momento tutti gli accadimenti della vita più o meno significativi hanno inciso la nostra superfice sensibile contribuendo alla formazione della nostra identità. Anche se non sempre ne abbiamo coscienza. È un processo complesso dinamico e sfaccettato, non privo di inciampi quello che ci rende soggetti unici, plasmando il nostro essere, le nostre relazioni, il nostro sentirci nel mondo. Da dove vengo? Dove vado? Come sono capitato qui? Chi sono? Arrivano momenti in cui non ci si può sottrarre all’impellenza di fare i conti con sé stessi, alla necessità di rispondere a quelle domande. “I can’t be the only one who hears you” è un percorso narrativo, un’indagine visiva nata dall’urgenza di riconoscere e restituire materia tangibile ad una condizione interiore che ha influenzato l’esperienza personale dell’autrice.” “Una storia, una ricostruzione ipotetica e analitica ricucita attraverso memorie che non sono solo mentali, ma visive, sensoriali” ne ha scritto Luigi Erba. Ecco che avviene, in questo panorama di immagini, il recupero di alcuni frammenti e oggetti che contribuiscono a mostrare il vortice e l’inciampo della vita, fotograficamente risolto attraverso un’estetica delicata, che esplora il legame tra ricordi, sogni, paure in un dialogo che si dipana continuo tra passato e presente. Come in una pioggia di coriandoli, metafore visive, declinate con colori pastello, si rivelano grazie ad un’espressività fortemente legata all’infanzia di cui rievocano i gusti semplici dei cibi bambini. Zucchero e limone, pane inzuppato nel latte, sapori che consolano, coccolano, accolgono. La comunicazione creativa rende il dialogo artistico accessibile, sincero, sensibilmente personale, mai eccessivo. Permette di trasformare il dolore, fisico o mentale, in arte e quindi in bellezza. Il disagio si trasfigura in stigmate glitterate, in cerotti con gli unicorni che traspaiono sotto le calze velate, in un girotondo colorato dove pillole ammiccanti giocano a nascondino tra le caramelle. L’autrice utilizza immagini del proprio passato, dei genitori, disegni, stickers colorati, contrapponendole a raffigurazioni simboliche, rivolge poi la macchina fotografica verso sé stessa realizzando più che autoritratti, performance concettuali declinate nel linguaggio del gioco regalando una piccola parte della propria anima, probabilmente la più vulnerabile. Ma non tutto può essere svelato, dichiarato, condiviso. L’autrice affida quindi ad un dispositivo tattile, enigmatico, ancora una volta legato al mondo del gioco, dell’infanzia, la provocazione finale, per rispondere alla quale occorre probabilmente riavvolgere il nastro e riguardare tutto dall’inizio. Dietro la maschera sgarrupata, tra le mille possibili… Indovina chi è Alessia?
di Stefania Lasagni


