Portfolio Italia 2025
30/11/2025 - 06/01/2026
Daniele Ferrini
Notte, giorno, sera... e ancora notte

Nell’arte la finestra, sfondo o protagonista, ha da sempre rappresentato molto di più di una semplice apertura. Elemento disgiuntivo e contestualmente di travaso tra mondi, la finestra ha ancestrale significato di punto d’incontro tra l’osservatore ed il mondo al di fuori, ovvero tra Io e ciò che non sono io. Spazio, soglia tra culturale e naturale, tra misura dell’umano e infinito. Sostanzialmente da sempre presente nell’arte (già Leon Battista Alberti teorizzava la pittura come finestra aperta sul mondo) la finestra è un catalizzatore di storie ed un iniziatore dell’immaginazione. Così anche in differenti poetiche artistiche od autoriali la finestra è stata sempre presente, in modi molto differenti tra loro, sin anche opposti. La donna alla finestra di Caspar David Friedrich suggerisce una contemplazione malinconica verso una realtà ignota e lontana, tipico tema romantico. Le finestre di E. Hopper invece indugiano sul tema dell’alienazione della vita urbana e della distanza tra le persone, rimarcando una palpabile distanza emotiva tra interno ed esterno. E ancora “La condizione umana” di Magritte in cui l’autore sovverte la percezione del reale mescolando esterno ed interno con l’ausilio di una finestra.

Alla fotografia il tema è stato altrettanto caro (sarà un caso che la prima immagine fotografica ripresa da N. Niepce è “Vista dalla finestra a Le Gras”?). Grandi autori hanno prodotto opere magistrali, due su tutte l’immenso “Talvolta dalla mia finestra” (1957/59, pubblicato da Life con il titolo di Dramma sotto una finestra di città) di W.E. Smith ed il contemporaneo “Out of my window” della fotografa newyorkese Gail Aalbert Halaban. Il lavoro di Ferrini ben si incastra, prosegue e sviluppa quel filone introspettivo rinnovato dalla Halaban, catturando frammenti di vita e quotidianità altrui. Le immagini del nostro, scattate nel 2020 durante la pandemia da Covid-19 ed ora riproposte, diventano una operazione postuma il cui intento, per l’autore, è quello di invitare ad una riflessione intempestiva sui cambiamenti nella società tra prima e dopo, forzando il naturale sentimento di rimozione di quel periodo difficile.

Le immagini giocano con la curiosità dello spettatore invitandolo ad osservare i frammenti di vita privata, ma mai in un contesto morboso o sfociando in una sterile attività voyeuristica. Il corpo del portfolio è incentrato sulla visione di quel “mondo piccolo” ed è scandito dall’alternanza giorno-notte a documentare il tempo sospeso e contestualmente lo scorrere dello stesso in ritmi sempre uguali e collettivi. L’azione di abbattimento del confine, per questo destino che ci è stato comune, distanzia il lavoro dell’autore dalla tematica hitchcockiana di Rear Window, dove il protagonista osserva compulsivamente trasformando la visione in un mezzo di indagine e di alimentazione del sospetto e della paranoia, e ci pone la domanda: ne siamo usciti migliori? 

di Davide Grossi