Sotto pelle
C’è un silenzio importante che attraversa le fotografie di Irene Vitrano: un silenzio denso, stratificato, che non è mai vuoto ma presenza. Questa assenza di suoni e spazio di ascolto la ritroviamo nei musei di storia naturale, dove il tempo si sospende e la vita continua a mostrarsi attraverso la materia.
In "Sotto pelle", tutto ciò diventa linguaggio: la fotografa lo ascolta, lo traduce in immagine e lo restituisce a noi come esperienza emotiva e riflessiva. Lo sguardo si muove sul confine sottile tra vita e morte, memoria e possibilità della rappresentazione.
Davanti ai corpi conservati nelle teche, Vitrano non resta spettatrice: attraversa la trasparenza del vetro, oltrepassa la distanza e condivide il gesto che conserva, diventando parte di quel lavoro paziente che tenta di restituire forma a ciò che non potrà più tornare in vita.
L’incontro con il tassidermista è il cuore pulsante del progetto. Qui l’artista riconosce un legame profondo tra il proprio mestiere e quello dell’artigiano: entrambi operano sulla soglia, con rispetto per la materia e consapevolezza dei limiti. Il tassidermista prepara la pelle, la tende, la adatta e la cuce; la fotografa compie lo stesso lavoro, ma con la luce, modellata e plasmata per ricomporre. Entrambi agiscono in un tempo sospeso, tra memoria e rinascita, nella tensione tra ciò che è stato e ciò che ancora chiede di essere ricordato.
Nei dittici di Vitrano, l’elemento forte sostiene quello fragile e la fotografia diventa un atto di riparazione: la macchina fotografica cuce le ferite del visibile, ricomponendo ciò che il tempo e l’indifferenza hanno separato. Il gesto fotografico assume così un valore etico: non solo documenta, ma si prende cura.
In "Sotto pelle" si parla anche di responsabilità, memoria e perdita: ogni dato raccolto dalla fotografa, che potrebbe restare freddo e distante, nelle sue immagini diventa concreto e quasi tangibile. Ogni sguardo imbalsamato, ogni manto pettinato, ogni cucitura racconta la nostra incapacità di ascoltare il mondo che abitiamo. Qui non c’è denuncia, ma compassione; non c’è retorica, ma attenzione.
La fotografia diventa allora uno spazio di consapevolezza, un luogo dove la perdita si trasforma in memoria condivisa. Il titolo, "Sotto pelle", indica non solo una direzione di senso, ma una condizione umana: tutto ciò che vediamo ci attraversa, ci abita, e la pelle diventa confine e contatto, barriera e dialogo. Vitrano ci invita a guardare sotto, a riconoscere che la vita continua a pulsare anche nelle forme che credevamo finite.
Sotto quella pelle, come sostiene l’autrice, batte un cuore nuovo, fragile ma ostinato: il cuore di chi osserva, di chi ricorda, di chi sceglie di restare in ascolto. In un tempo in cui tutto tende a consumarsi in fretta, "Sotto pelle" ci ricorda la potenza del gesto lento, della cura e dell’attenzione. È un lavoro che interroga il rapporto tra immagine e memoria, tra sguardo e responsabilità, restituendoci con forza e delicatezza la possibilità di sentire ancora, sotto la superficie, dentro la pelle del mondo.


