A thousand times the fate of a cage
Questa è una narrazione corale, umbratile, dove schegge di luce o scorci luminosi ci permettono di riprendere fiato. Ogni fotografia è un respiro che dà vita a storie di donne e bambini nelle squallide favelas brasiliane; agli uomini spettano l’incipit e la chiusura di questo coro. I racconti sembrano rivolti alla luna, che si staglia nel cielo tra le cime degli alberi, e, come ne “Il coyote” di R. Roversi, si trasformano in ululati del mondo: un amalgama di dolore, sogni, disillusione, gioia e sgomento che è il vivere.
Il buio voluto dall’autrice è offerto per essere penetrato, scrutato. Dettagli portatori di senso diventano ‘punti’ di luce scelti con cura: un ramo che, come una lancia, illumina il volto di un ragazzino, guidandone lo sguardo oltre le pareti scorticate; o faville esplosive che squarciano l’oscurità. A volte questa intenzione si manifesta attraverso la parola: “Lucinete” – “piccola luce” – illumina un muro corroso; “Vida loka” – “Vita pazza” – tatuata sul braccio di una giovane, conferma la luce di parole magiche impresse sulla sua maglietta. La ragazza, pur nascondendo il volto, sembra affidare ai segni la propria storia: pudore o protezione dei sogni?
Il bianco e nero è utilizzato con estrema cura anche nelle gradazioni di grigio, che trapassano l’una nell’altra fino a un buio raschiato da un chiarore che si fa strada a fatica, o nella luce che sopravanza le ombre, sbiadendole di fronte alla presenza dei giovani. Gli uccelli diventano metafora: stormi posati su cavi luminosi rappresentano entità che favoriscono la sopravvivenza dei singoli, strategia vitale anche per gli esseri umani; un corvo con ali e coda mozzate, incapace di spiccare il volo, trova la sua prigione senza sbarre nella terraferma.
Steccati, muri, reti ricorrono come simboli evocativi. Emozionano la donna contro uno steccato che proietta la propria ombra sul suo volto, girato quasi a sfuggire a un rimpianto o a un desiderio; un ragazzo, distante da un muro sovrastato dal cielo chiaro, si trova su una strada che prelude alla possibilità di scegliere il proprio cammino futuro. Tre fotografie, per diversità di stile, invitano lo spettatore a interrogarsi sul senso del loro esserci, un significato noto solo all’autrice.
Forse, tra le possibili interpretazioni, queste immagini manifestano la presenza stessa dell’autrice in un racconto nel racconto. Forse lei è lì, nella radura, a condividere la sua storia con gli altri e con la luna; forse quei racconti sono perle, come le gocce d’acqua che impreziosiscono una tela di ragno. Forse, da viaggiatrice, mentre tutto scorre via, ferma ciò che deve essere impresso e condiviso, affinché il nostro sguardo non ignori chi vive ai margini del mondo, ma continua a fare, desiderare e lottare tra indifferenza e squarci di rispetto e solidarietà.
di Eletta Massimino


